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Avversione al sacro, da parte di figli o del coniuge. Cosa succede.

  • Immagine del redattore: Intl. Press
    Intl. Press
  • 24 mag
  • Tempo di lettura: 6 min

È frequente l’imbattersi in genitori che piangono i guai e le stranezze di un figlio, lamentandosi che non trova lavoro o che lo ha perso; che ha sofferto numerosi incidenti stradali; che non riesce a portare avanti una relazione affettiva seria; che è sempre scontento e aggressivo; che in casa insulta, bestemmia e rompe le cose; che mostra - secondo loro - sguardi da indemoniato, dicendo che ammazza tutti, che vuole farla finita con la vita ecc.


Come ci ricorda l’Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, «il mondo ci propone il contrario di quello che ci propone il Vangelo
Come ci ricorda l’Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, «il mondo ci propone il contrario di quello che ci propone il Vangelo

In questi casi, la premessa o la conclusione dei genitori è quasi sempre: “Gli hanno fatto qualcosa!”Senza negare che l’esame approfondito di situazioni come quelle appena richiamate può, in alcuni casi, offrire indizi di una reale attività diabolica straordinaria, il fatto che nella vita le cose “non vadano per il verso giusto” non significa automaticamente essere vittime di aggressioni diaboliche di tipo possessivo, ossessivo o vessatorio.

Dati i limiti naturali della realtà e le fragilità della carne, per circostanze e condizioni della vita così come per scelte sbagliate da parte nostra, la vita comprende, infatti, anche situazioni di fatica, oscurità e sofferenza

Oggi, purtroppo, la maggior parte dei fedeli, anche tra gli stessi ministri sacri, è assai lontana dall’avere come ideale di vita il camminare dietro a Gesù paziente e crocifisso, lottando decisamente contro il peccato (cfr. Eb 12, 4) e praticando eroicamente le virtù evangeliche, in primo luogo quella carità che è paziente, benigna, non invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità; che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr. 1 Cor 13, 4-6).

 

Come ci ricorda l’Esortazione Apostolica Gaudete et exultate, «il mondo ci propone il contrario [di quello che ci propone il Vangelo]: il divertimento, il godimento, la distrazione, lo svago, e ci dice che questo è ciò che rende buona la vita. Il mondano ignora, guarda dall’altra parte quando ci sono problemi di malattia o di dolore in famiglia o intorno a lui. Il mondo non vuole piangere: preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle, nasconderle. Si spendono molte energie per scappare dalle situazioni in cui si fa presente la sofferenza, credendo che sia possibile dissimulare la realtà, dove mai, mai può mancare la croce. ... Ma la croce, soprattutto le stanchezze e i patimenti che sopportiamo per vivere il comandamento dell’amore e il cammino della giustizia, è fonte di maturazione e di santificazione. [...

Ci sono momenti duri, tempi di croce, ma niente può distruggere la gioia soprannaturale, che “si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto”.

 

È una sicurezza interiore, una serenità piena di speranza che offre una soddisfazione spirituale incomprensibile secondo i criteri mondani. [...] Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male. [...]

Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: “Questa è la nostra logica”»

 

Solo che quando non si ragiona con questa logica, non potendo accusare Dio e non volendo accusare sé stessi, è molto facile dare tutte le colpe al demonio.

 

Perciò, quando un penitente va da un confessore a lamentarsi di essere sotto attacco demoniaco soltanto perché le cose vanno sempre storte, in ordine al discernimento che a quest’ultimo compete è di grandissimo peso l’esame diligente del rapporto tra tutti i segni che detto penitente lamenta come prova di azione diabolica straordinaria e il suo effettivo combattimento spirituale nella vita cristiana di ogni giorno.

 

Ci ricorda, infatti, la Gaudete et exultate che «la vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. [...] Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia.

 

Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male»

 

Lo stesso criterio deve essere seguito anche in riferimento agli stati d’animo, attribuiti ad un influsso straordinario del maligno, che i penitenti dicono di sperimentare, come pure per certi atteggiamenti che essi assumono nel relazionarsi con gli altri e verso l’ambiente in cui vivono.

 

Molte cose che l’anima sperimenta sono semplicemente il frutto e la conseguenza di una vita nel peccato e dell’essersi privata degli aiuti soprannaturali che la Parola di Dio, la preghiera personale e la vita sacramentale offrono.

 

La stessa avversione al sacro denunciata, ad esempio, da genitori riguardo ai loro figli o da sposi rispetto al loro coniuge è, nei casi più lievi semplice manifestazione di accidia, mentre nei casi più gravi è conseguenza della perdita totale della fede e di amore disordinato a quel mondo per cui Cristo non ha pregato (cfr. Gv 17, 9).

 

È normale, vivendo di fatto lontani da Dio e accontentandosi di una fede di facciata, per cui si è convinti che il Paradiso è quaggiù, che alle prime difficoltà ci si abbatta e si pensi che il demonio stia pregiudicando il diritto ad essere felici.

 

Come può una persona che non conosce e non ama Dio (e quindi non sa amare il suo prossimo con amore soprannaturale), allorché tutto attorno a lei si fa terra bruciata, non essere portata a pensare, in un ambiente nel quale domina il pensiero superstizioso ed è venuto meno il senso della solidarietà e del rispetto dell’altro, che qualcuno voglia il suo male e che glielo stiano facendo con l’aiuto del demonio?

 

Come si può evitare del tutto il pensiero del suicidio, quando non c’è un vero orizzonte di speranza cristiana e la vita sembra ormai negare ogni possibilità di essere felici?Come si può, quando non si vive in grazia di Dio e si è schiavi delle passioni (avarizia, odio, invidia, impurità ...), pretendere di avere occhi limpidi come quelli di Santa Teresa di Gesù Bambino o di Santa Gemma Galgani o della Serva di Dio Maria Teresa Gonzalez-Quevedo, e non avere, invece, occhi che sembrano quelli di un indemoniato pur non essendolo veramente?Teniamo sempre presente che in un’anima priva di fede viva e totalmente disimpegnata sul fronte del combattimento spirituale è infatti assai difficile discernere di primo acchito un’azione straordinaria del demonio.

Perciò, il confessore esamini anzitutto e sempre la reale fede creduta e vissuta della presunta vittima di un’azione demoniaca straordinaria; e se questa fede è assente o carente e i segni denunciati sono soltanto generiche lamentele di cose che vanno male (perdita di lavoro, incidenti, malattie, morte di familiari, difficoltà relazionali, insoddisfazione, scontentezza ecc.), non lo mandi dall’esorcista e lo inviti piuttosto a un cammino di recupero e/o di crescita nella fede, cosa per la quale possono essere di aiuto tutti gli altri sacerdoti non esorcisti.

 

In questi casi, un tale modo di procedere del confessore non è mai sbagliato. Infatti, anche nella rara eventualità che un penitente risulti in seguito essere effettivamente vittima di un’azione straordinaria del maligno, aiutandolo a fare anzitutto un cammino di recupero e/o di crescita nella fede, il confessore lo avrà messo nelle condizioni indispensabili perché possa, a suo tempo, ricevere dalla Chiesa il dono della liberazione attraverso il ministero dell’esorcista.


Tratto da:

 

ACCIDIA:

la negligenza nell'esercizio della virtù necessaria alla santificazione dell'anima, è uno dei sette vizi (o peccati) capitali.


dal gr. ἀκηδία «negligenza», comp. di ἀ- privativa e κ ῆ δος «cura»:


Inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa: la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo e quindi a.(Umberto Galimberti).


Più in particolare negligenza nell’operare il bene e nell’esercitare le virtù evangeliche.

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